Pnrr, occasione persa per le sigle del sociosanitario privato

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“Nonostante registriamo anche oggi il rapporto decessi causa Covid/popolazione residente tra i primi 10 Paesi al mondo – spiega Alessandro Ridolfi, Segretario Generale Confapi Sanità – continuiamo a non vedere la realtà dei fatti. E cioè, la totale inadeguatezza di una rete di assistenza territoriale praticamente inesistente, incapace della tempestiva presa in carico del paziente che arriva in ospedale con una situazione di salute già compromessa. E la ricetta non può essere di certo la proposta della Casa di Comunità, dell’Ospedale di Comunità e/o l’Infermiere di famiglia”.

Per Confapi Sanità non si può continuare a far finta di niente. È necessario ripartire dalla riforma del prezioso ruolo del medico di medicina generale e dei Pediatri di Libera scelta, primi veri insostituibili attori per l’accesso al servizio sanitario nazionale. Non sta a noi dare indicazioni. Il Governo deve scegliere. Sono, ovvero rimarranno, professionisti autonomi o diventeranno dirigenti del SSN?

Il PNRR, per esso il DM 71/2022 attualmente all’esame della Conferenza Stato-Regioni, ipotizza forme di collaborazione spuria all’interno di queste nuove entità assistenziali dove dovrebbero operare dei professionisti autonomi accanto a medici specialisti e infermieri dipendenti del SSN. Come è possibile a livello organizzativo, sia gerarchico che funzionale, far coesistere le due figure?

“In più – prosegue Ridolfi – dopo anni di linee-guida aventi per oggetto la chiusura dei piccoli ospedali del territorio perché antieconomici e rischiosi per la salute dei cittadini, appare logica l’apertura di nuovi piccoli presidi di medicina generale, a forte vocazione infermieristica, che di fatto – soprattutto nei territori più disagiati dal punto di vista orografico – diventeranno i primi centri ospedalieri di riferimento? Gli infermieri – aumentando il loro ruolo in task shifting – saranno dei mini medici o dei super-infermieri? Con quale sicurezza di cure per i cittadini?”

In Italia – ricorda Confapi Sanità – ci sono circa 5.000 realtà sanitarie private (delle quali circa 1.200 accreditate), è possibile che non possano in nessun modo dare un contributo alla riforma della rete territoriale di assistenza? Se sì, con quali risorse aggiuntive? In un documento in cui compaiono anche le Farmacie tra i presidi sanitari di prossimità ed elemento importante del SSN, il ruolo della sanità privata dove è esplicitato?

Iniziamo dalle cifre del SSN. Dal 2011 ad oggi il Fondo Sanitario Nazionale è cresciuto da 106,0 mld/euro a 124,3 mld/euro con un incremento di circa 18 mld/euro. L’incremento di risorse destinate al privato accreditato nell’intero periodo è stato pari a zero.

Se si vuole restituire competitività al Servizio Sanitario Nazionale e, quindi, valorizzare il fondamentale ruolo della sanità privata accreditata, si proceda subito – l’invito di Confapi Sanità – alla abolizione del c. 14 art. 15 del DL n. 95/2012 che di fatto pone il divieto per le Regioni di acquistare prestazioni da privato accreditato se non nel limite del tetto di spesa fissato nell’anno 2011. Perché non lasciare alle Regioni, almeno quelle non gravate da piano di rientro, la facoltà di autodeterminare il proprio plafond di spesa per l’acquisto di prestazioni da privato in convenzione?

“Se parliamo di spesa, mi preme ricordare – conclude Ridolfi – che la sanità privata, sia pura che in convenzione – in netto contrasto con la Direttiva europea relativa alla neutralità dell’Imposta sul Valore aggiunto per chi esercita una attività imprenditoriale in forma organizzata – sopporta maggiori costi di acquisto per beni e servizi pari al 22% rispetto ad altri settori, poiché non gli è consentita la deducibilità dell’IVA. Solo per dare una dimensione di questo maggior costo evidenzio che stiamo parlando di circa di 10 mld di euro anno di IVA non deducibile che aggrava i bilanci delle aziende della sanità privata, di fronte a tariffe ferme nel migliore dei casi al 2012”.