In tempi di intelligenza artificiale, di rivoluzione digitale, di automazione e tecnologia, è più che mai necessario interrogarsi sul futuro del mondo del lavoro. Lo ha fatto anche Confapi (Confederazione italiana della piccola e media industria) che ha condotto l’indagine «Il futuro del lavoro. I fattori del cambiamento», per conoscere e analizzare i fattori che stanno cambiando il mondo dell’occupazione.
«Oggi più che mai è giusto indagare il mercato — afferma Cristian Camisa, presidente di Confapi —: perché possa esserci incontro tra domanda e offerta bisogna esplorare a fondo le esigenze, soprattutto dei più giovani. Per loro le Pmi, a differenza del passato, rappresentano il luogo ideale dove lavorare: la piccola o media impresa innovativa garantisce qualità della vita, flessibilità, si lavora vicino casa e si può instaurare un rapporto più empatico con il datore di lavoro».
Proprio flessibilità e qualità della vita rappresentano le due voci che stanno caratterizzando il cambiamento del mondo del lavoro dopo la pandemia: non c’è azienda, di qualsiasi settore, che non sia in difficoltà nel selezionare la forza lavoro. Anche dall’indagine di Confapi emerge chiaramente che oggi, soprattutto i più giovani, chiedono orari più gestibili, lavoro agile, possibilità di smart working e, a differenza del passato, raramente sono disposti a a scendere a compromessi. «In Italia mancano almeno un milione e 200 mila lavoratori — osserva Camisa —, si tratta di forza lavoro senza la quale le aziende non possono rilanciare la produttività e pianificare nuovi investimenti. Il rinnovo dei contratti che si profila all’orizzonte non potrà più essere basato soltanto sugli aumenti, serve una piattaforma di impegni che venga incontro alle aspettative dei più giovani per evitare che decidano di andare all’estero dove il mercato è più vicino alle loro richieste».
Le idee
Per agevolare un dialogo con il capitale umano però servono idee e proposte: il mondo del lavoro invece sembra riproporre sempre le stesse dinamiche: poca tecnologia, poca flessibilità e retribuzioni basse. «Bisogna partire da un presupposto — avverte il presidente di Confapi —. In Italia non può calare la produttività, bisognerebbe, anzi incrementarla per mettersi al passo con le nazioni più veloci. La nostra proposta è quella favorire la flessibilità spalmando le 40 ore lavorative settimanali su quattro giorni anziché cinque, per garantire più tempo libero. Inoltre proponiamo la detassazione degli straordinari e dei premi di produzione. Si tratterebbe di provvedimenti capaci di rispondere contemporaneamente alle esigenze di lavoratori e imprese».
Il capitale umano
Sul tavolo del governo c’è la detassazione della tredicesima, potrebbe bastare? «Potrebbe essere un buon punto di partenza — afferma Camisa —, ma è un provvedimento che da solo non può bastare, l’obiettivo dovrebbe essere quello di aumentare il potere di acquisto dei lavoratori portando qualche sgravio fiscale ai datori di lavoro, ecco perché in tal senso la detassazione degli straordinari sarebbe molto più efficace».
L’indagine di Confapi evidenzia anche una necessità di tecnologia e digitale nelle Pmi italiane che però fanno fatica a investire in innovazione, ricerca e sviluppo. «Serve una rivoluzione culturale che metta digitale e intelligenza artificiale tra le priorità delle piccole e medie italiane però per incrementare gli investimenti delle imprese è indispensabile aumentare la produzione. Per riuscirci bisogna aumentare la forza lavoro, trovare personale specializzato. Da inizio d’anno sono stati creati più di 300 mila posti di lavoro in Italia e in percentuale sono aumentati i contratti a tempo indeterminato. La precarizzazione del lavoro, oggi più che mai, è ciò che le aziende non vogliono. C’è un disperato bisogno di forza lavoro specializzata magari attraverso il modello tedesco (sistema duale) in cui si va a lavoro e a scuola contemporaneamente. Bisognerebbe affinare il match tra domanda e offerta di occupazione a livello locale: le esigenze del mercato del lavoro di Milano sono profondamente diverse da quelle di Modena o Catania. E, infine, serve un dialogo costante e diretto tra governo e Pmi per varare leggi che siano della taglia giusta per il nostro tessuto produttivo».