“Il modello di energy release delineato dall’articolo 16-bis del decreto legge n. 17 del 2022, con il quale è stato adottato un meccanismo per la vendita, tramite il GSE, di energia a prezzo calmierato prodotta da fonti rinnovabili a clienti finali industriali, risulta ad oggi molto depotenziato rispetto a quelli che erano i suoi obiettivi.
Il decreto prefigurato, con gli emendamenti presentati a marzo e ad aprile 2022, si proponeva di assicurare alle imprese energivore o ad alta intensità di energia una quota importante, nella disponibilità del GSE, di energia elettrica da fonte rinnovabile al prezzo super-calmierato di 40 €/MWh, prendendo ad esempio il modello francese, in cui si assicurava una quota dell’energia prodotta dalle centrali nucleari.
In questi giorni è stata conclusa l’asta per l’assegnazione di 16 terawattora, nella quale tutta la disponibilità pare sia stata assegnata, pur non partecipando tutti i soggetti che si erano dichiarati interessati.
Il contratto GSE contiene inoltre diversi aspetti problematici. Il primo è il prezzo di 210 €/MWh che sia pure con possibilità di scendere fino a 180 €/MWh risulta troppo alto a fronte dei prezzi attuali di mercato, fluttuanti anche molto al di sotto di quest’ultima cifra.
Il secondo è la previsione di restituzione al GSE della differenza di prezzo da parte dell’assegnatario nel caso (molto probabile) in cui il Prezzo Unico Nazionale (PUN) sia inferiore a 210 €/MWh con contratti differenziali simmetrici.
Con riferimento a questi due aspetti, voglio ricordare che il piano tedesco prevede per le industrie a maggiori consumi (oltre 1,5 milioni di kWh all’anno), un prezzo di 70 €/MWh sul 70% del consumo del 2021 senza alcuna previsione di restituzione nel caso in cui il prezzo di mercato scenda più in basso.
Il terzo elemento critico è rappresentato dalla rigidità del contratto che consente alle imprese solo di recedere (con un mese di anticipo) dal contratto, in caso di prezzi di mercato inferiori, senza poterlo più riprendere nel caso in cui i prezzi di mercato salgano oltre il prezzo d’asta stabilito”.
Lo dichiara in una nota Maurizio Casasco, deputato di Forza Italia e presidente emerito di Confapi.
“Perché allora le imprese hanno partecipato a queste aste? Per mettersi in sicurezza in caso di esplosione dei prezzi dell’energia. Ma possiamo stare certi che, se il PUN si colloca stabilmente sotto i 180 €/MWh, molti concorrenti rinunceranno e l’energy release si rivelerà sostanzialmente un fallimento. Dunque sono necessari aggiustamenti: prezzo molto più basso (100-120 €/MWh) o stabilire ancor meglio un contratto asimmetrico ed elastico con un delta tra il prezzo di mercato e il prezzo di copertura stabilito dal GSE; un contratto che non preveda la restituzione nel caso il prezzo di mercato sia più basso del prezzo di assegnazione; poter ricorrere al mercato senza dover recedere dal contratto”, aggiunge.
“In questo senso si muoveranno le azioni parlamentari del sottoscritto e di Forza Italia. Per questo ho chiesto al Ministro se non ritenga opportuno adottare misure per assicurare un’applicazione dell’Energy release più aderente alle necessità delle imprese, per quel che riguarda le possibilità di adeguamento alle oscillazioni dei prezzi di mercato, con particolare riferimento alle esigenze degli energivori, degli energivori insulari e delle PMI operanti sotto forma di aggregato, già penalizzate dagli aspetti burocratici e dai tempi di presentazione delle domande”, conclude.